Faida di Papanice, il marito della superteste fu intimidito

 

Inserita il 08/10/2009

News
La rivelazione nel processo per l’omicidio Cavallo: «Un uomo con i tatuaggi mi minacciò per non farmi parlare»

di ANTONIO ANASTASI

CROTONE - «Non devi parlare. Perché se parli finisci male». La minaccia, tre, forse quattro giorni dopo la notifica della citazione come teste, arrivò nell’agosto scorso a Salvatore Dattolo, marito della superteste dell’omicidio di Giuseppe Cavallo, Marina Cavallo, sorella della seconda vittima della faida di Papanice materializzatasi durante le festività pasquali del marzo 2008. Al teste la frase fu riferita da un uomo che aveva vistosi tatuaggi.

La conferma è venuta ieri in aula, nel processo per l’omicidio. Dattolo, che rispondeva alle domande del pm Amtimafia Sandro Dolce, non ha fatto nomi, ma, davanti ai giudici della Corte d’assise di Catanzaro, ha riferito di aver denunciato l’uomo che lo minacciò e di averglielo addirittura fatto presente, mostrandogli una copia della querela sporta.

Lo stesso pm ha incalzato per quasi tre ore la superteste, che ha sostanzialmente confermato quanto da lei rivelato agli inquirenti nell’immediatezza del delitto. E cioè che il presunto killer, il ventunenne Andrea Corrado, aveva «un’andatura saltellante ». «Camminava sulle punte ». E indossava un cappuccio sottile attraverso il quale ha riconosciuto gli «occhi a mandorla ». Perché il killer le è passato «di fianco» e «gli sguardi si sono incrociati».

Il giovane dovrebbe aver agito con la complicità di almeno un'altra persona. Gli investigatori della Squadra Mobile, coordinata dal pm Dolce, ritengono, infatti, di aver fatto luce sulla responsabilità della sanguinosa reazione al delitto della vigilia di Pasqua, vittima Luca Megna. L'omicidio Cavallo è avvenuto appena due giorni dopo e a poche centinaia di metri dal primo delitto.

Le vittime appartenevano a due fazioni avverse, la prima delle quali avrebbe fatto capo proprio a Luca Megna, figlio del boss Domenico (quello che dal carcere inviò segnali di pace); la seconda, negli ultimi tempi, faceva da autista al presunto leader del gruppo avverso, Leo Russelli. Secondo gli inquirenti non è un caso che anche in occasione del secondo delitto i killer abbiano sparato contro tre obiettivi. Cavallo, infatti, era insieme alla moglie, Rosa Russelli, ferita in modo lieve (l’imputato è accusato anche del tentato omicidio della donna), e al figlioletto di tre anni rimasto miracolosamente illeso (sedeva al lato del passeggero e contro l'autista della Opel "Corsa" furono sparati numerosi colpi al capo, al volto e all'addome).

Mentre la sera del 22 marzo Luca Megna era con la figlia di cinque anni, ancora in coma con un proiettile conficcato nella testa, e la moglie rimasta anche lei ferita ma in modo on grave. Analogie che s’intrecciano e rimandano a codici precisi della 'ndrangheta. Ieri la donna ha anche detto che del killer, individuato fotograficamente –in un primo tempo non ne ricordava il nome ma sapeva che era fratello di un amico della vittima, Francesco, che frequentava casa Cavallo – ha avuto paura e per questo non ha fatto subito il riconoscimento.

Ma poi si è decisa perché si trattava di testimoniare contro l’assassino di suo fratello. E ha aggiunto che quel giovane che indossava jeans chiari e bomber faceva parte del gruppo Megna. Le discrasie che la difesa, rappresentata dagli avvocati Sergio Rotundo e Giancarlo Pittelli, ha tentato di far emergere sono tra le versioni di marito e moglie. L’uomo, infatti, ha riferito di aver accompagnato la donna in Questura e di aver appreso da lei il nome del killer durante il tragitto.

La donna dice di essere stata portata dagli agenti in ufficio e ricorda due verbali, ma non ricorda cosa successe in un lasso di tempo di un’ora in cui, invece, fu interrogato il marito. Tant’è che a Corte ha disposto un confronto all’americana tra marito e moglie. Ma la superteste all’avvocato di parte civile, Francesca Parise, ha risposto dicendosi sicura della sua versione. Un gesto, quello della costituzione di parte civile, già sottolineato dal pm in una precedente udienza perché è raro che si verifichi nei processi di mafia.

E’ stata sentita anche una donna polacca che ha confermato di aver udito gli spari e di aver visto una persona armata che si allontanava dal luogo del delitto.

tratto da ilquotidianodellacalabria.it


Autore: .

Chiudi questa finestra