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.: IL NARRATORE MAGICO

 

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Questo articolo non deve essere considerato come una semplice recensione di un libro o il racconto della vita di uno scrittore, ma è l’approccio vero e proprio alla realtà storica Latina Americana, mediante degli artifici letterari del tutto magici. Lo Scrittore o il Narratore o il Cantastorie o meglio ancora il Maestro è Gabriel José Garcìa Màrquez ritenuto da molti uno dei più grandi scrittori viventi e il libro alla quale faremo riferimento è Cent’anni di solitudine, (con questo libro l’autore vinse il premio nobel nel 1982). Gabriel José Garcìa Màrquez o Gabo, come lo chiameremo noi, nasce ad Aracataca in Colombia il 6 marzo 1927 e viene allevato dalla nonna che gli racconta storie di mondi fantastici e cresce così in un mondo costellato... di misteri e magie.

Verso il 1948 inizia a scrivere i suoi primi racconti e i suoi primi romanzi, ma il vero capolavoro “Cent’anni di solitudine” viene pubblicato nel 1967 e ottiene subito un grande successo. La nascita di questo romanzo è naturalmente influenzata dalle storie che Gabo ascoltava dalla nonna. D'altronde tutta la sua carriera letteraria è intrisa di magia e fantasia, da bambino ascoltava storie di mondi antichi e sentiva parlare di persone morte come se fossero vive e presenti, Gabo così si sente circondato dai miti e dalle credenze popolari che non sono più una pura fantasia ma un mondo quasi reale.

Il romanzo si sviluppa tutto sulla vita dei Buendia, nell’arco di sei generazioni, sullo sfondo dell'immaginario ma emblematico paese di Macondo. La famiglia è oppressa dalla superstiziosa paura di generare un figlio con la coda di maiale, poiché il capostipite e fondatore della città, José Arcadio, contravvenendo alle leggi di natura, ha sposato la cugina Ursula. La storia intricata e a tratti complessa, articolata su personaggi aventi gli stessi nomi, non deve essere intesa solo limitatamente al racconto romanzesco.

La metafora che Gabriel intende esplicare in Cent'anni di solitudine, è quella della vita. Tutto nasce in un ambiente incontaminato, dove l'uomo prevale sulla natura, dove lo sviluppo trasforma un piccolo villaggio in una città. Arrivano le guerre ingiustificate, senza nessun principio reale. Arriva la compagnia bananiera, il treno, il primo aereo, il progresso sembra predominare su tutto, quando giunti al culmine di una linea immaginaria, la civiltà comincia a decadere. Mitici e molteplici sono i personaggi che si susseguono nel romanzo dal patriarca José Arcadio Buendìa, che per tutta la sua vita come unico intento ha quello di darsi da fare a risolvere i misteri dell’universo, un personaggio dotato di una fantasia e di un ingegno straordinario ma primitivo e istintivo, conversa con le persone nell’aldilà e soprattutto viene perseguitato da Prudencio Aguilar, che uccise lui stesso per un combattimento di galli, parla con questa anima costantemente come se vivesse contemporaneamente in due universi paralleli, ma quello dove vive Prudencio inizia ad essere per lui il mondo reale.

Inizia così a guardare i giorni che passano sempre nello stesso modo, le cose rimangono immutate di giorno in giorno, anche la sua solitudine diventa sempre più profonda, finirà per impazzire e finisce legato ad un albero, dove passerà tutto il resto della sua vita, quando morirà pioveranno tutta la notte petali gialli dal cielo. Altro mitico personaggio è lo zingaro Melquiades, un uomo privo di cattiveria, taciturno e coperto dal mistero, comporrà strane profezie, che varie generazioni di Buendía cercheranno di decifrare e che alla fine si riveleranno come la storia del secolare sprofondamento di Macondo. Macondo, infatti, è destinata a scomparire. Fiabeschi sono i personaggi che non hanno nulla di naturalistico, ma rappresentano, esasperandoli e ingigantendoli, alcuni caratteri umani: Ursula raffigura, per esempio, la laboriosità della matriarca; il colonnello Aureliano la violenza e le sue trentadue guerre promosse e tutte perse; Remedios la purezza.

Gli ultimi personaggi che troviamo della stirpe dei Buendìa saranno Aureliano Babilonia e Amaranta Ursola, che diventano amanti e scoprono poi di essere nipote e zia, da loro nascerà il sempre atteso e temuto bambino con la coda di maiale, questa nascita sarà il segnale della fine di tutto, la madre del bambino muore di parto, il bambino viene portato via dalle formiche per essere mangiato, rimane solo Aureliano Babilonia, che dopo molto tempo inizierà a decifrare le pergamene dello zingaro, e scopre che sono le profezie del destino della sua famiglia, saltava le pagine e andava avanti e iniziò a decifrare anche il momento stesso che stava vivendo, man mano che lo decifrava quel momento lo viveva come se si stesse vedendo in uno specchio parlante, in quello stesso istante Facondo era ormai solo un vortice di polvere e di macerie, Aureliano andando avanti aveva compreso che la città sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell’istante in cui lui stesso avesse finito di decifrare le pergamene. Questo romanzo può essere definito un sogno, è l’incredibile e magica storia della fondazione e della distruzione di un Paese sperduto e mai conosciuto : Macondo.


“Macondo” possiamo definirlo come uno stato d’animo perché di questo si tratta, l’unico colore con cui potremmo dipinge idealmente il romanzo è il grigio, di tanto in tanto diventa bianco, quando c’è qualche nuova scoperta e quando nasce l’amore, ma più spesso si colora di nero, quando si cade nella frustrazione e nella paura della morte e dallo sconforto. Il filo conduttore è sempre un unico sentimento, quello della solitudine che pervade l’animo e i ricordi; leggendo questo romanzo e chiudendo gli occhi si possono sentire gli stessi profumi, gli stessi stati d’animo e lo stesso alito di vento che sono descritti minuziosamente da Gabriel José Garcìa Màrquez; possiamo rivedere nella nostra mente l’enorme vuoto che c’è negli occhi del capostipite e la stessa consapevolezza che riempie gli occhi dell’ultimo sopravvissuto. Il sogno lascia un senso di stupore e un alito d’amarezza pensando che se solo qualcuno decifrasse prima le pergamene di Melquìades forse la dinastia dei Buendìa avrebbe potuto avere una seconda possibilità, ma alla fine si scioglie la trama e si chiarisce il significato di quegli scritti e alla fine viene capito che una stirpe condannata a cento anni di solitudine non ha una seconda opportunità sulla terra.


Autore : Sara Casadonte



Ultimo aggiornamento di questa pagina : 20/1/2007



 

 

 

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