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Titolo Rubrica : APPROFONDIMENTO SULLA POESIA “SPESSO IL MALE DI VIVERE”


Pubblicata in data : 9/5/2005



Messaggio centrale di questa importante lirica montaliana è l’affermazione che al male irrimediabile della vita non si può opporre altro che la nostra “stoica indifferenza”, unica possibilità per salvarci dalla disperazione, in una sorta di annullamento dei nostri sentimenti e della nostra umanità. Stilisticamente parlando, questa lirica assume un valore emblematico della famosa tecnica montaliana del “correlativo oggettivo”.

Cioè un linguaggio allusivo che esprime ogni emozione attraverso una correlazione con una serie di oggetti, di elementi paesaggistici o di situazioni che divengono in qualche modo la formula costante, il linguaggio simbolico di quella stessa emozione. Nel caso specifico di questa poesia, non essendo in realtà possibile al poeta incontrare in carne ed ossa il “male di vivere”, per presentare un oggetto che materializzi quel concetto, egli identifica in chiave analogica il dolore e la sofferenza nel ruscello strozzato che gorgoglia, nella foglia che si accartoccia per il calore del sole, nel cavallo che cade stroncato dalla fatica. In questo senso, quel che dovrebbe essere la condizione umana esistenziale del malessere e della sofferenza viene messo in correlazione diretta con cose ed esseri come l’acqua del ruscello strozzato, la foglia riarsa ecc…, le cui immagini esprimono concretamente uno “stato patologico” di sofferenza, una vera situazione di tormento in atto.

Tutte immagini ed aspetti comuni della natura, in cui il dolore appare visibile e concreto. Ovviamente, come visto anche a lezione, la padronanza dei mezzi linguistici consente al poeta di utilizzare per gli effetti emozionali tutte le risorse stilistiche, onde esprimere anche tonicamente le corrispondenze possibili a questa condizione cosmica del dolore. Infatti, “strozzato-stramazzato-riarsa-incartocciarsi” sono connotazioni poetiche che rendono “immagini patologiche” dal punto di vista soprattutto visivo, ma sono anche elementi essenziali che hanno una valenza fonica importante, nell’intreccio di rime ed allitterazioni, di onomatopee, le cui risonanze nel lettore lasciano sempre “suggestioni imprevedibili”.


Così, dopo aver constatato inequivocabilmente il “male di vivere” in tutte le forme della natura, dalle cose agli esseri viventi, al poeta non rimane che evidenziare il suo messaggio in netto contrasto con questo stato di “sofferenza universale” del creato. Infatti, l’unico bene, che egli ha potuto conoscere e sperimentare, consiste solo nel “distacco stoico dell’indifferenza”, nel rifiuto quindi del lasciarsi coinvolgere dalla pene del vivere. Per esprimere questo concetto Montale si serve di tre immagini diverse, anch’esse, però connotate come correlativi oggettivi di questo “bene”, che, non potendo concretizzarsi in una persona, viene espresso attraverso delle immagini reali, in stretta analogia con il concetto in esse implicito.

Queste tre immagini sono: la “statua” , davvero emblematica per la sua insensibilità simili alla sonnolenza del meriggio; la “nuvola” e il “falco”, che stando al di sopra delle cose del mondo non se ne lasciano mai attrarre e coinvolgere. In questo senso, questi tre emblemi del bene, contrapponendosi a quegli altri tre emblemi del male, significano un messaggio positivo del poeta. Ma tale messaggio comporta anche l’annullamento della nostra umanità, dominio di ogni nostro sentimento. Infatti, nella statua c’è, oltre la freddezza, anche l’insensibilità, nella nuvola c’è anche l’inconsistenza, nel falco la sua libertà istintiva e l’aggressività. Tutte queste immagini emblematiche del bene e della salvezza hanno in qualche modo implicito anche un senso di amarezza, come se quell’estremo rimedio fosse vanificato o pietrificato, dall’indifferenza, o dall’ignoranza del male stesso.


Stilisticamente parlando, nella seconda parte della poesia, il poeta riesce ad evidenziare all’inizio del verso il valore pregnante e risolutivo del “bene”, con un’inversione sintattica e cioè anticipando il complemento oggetto rispetto al verbo, che assume qui un ruolo secondario. E poi, in senso inverso, evidenzia il significato del suo rimedio al male, mettendo sempre in primo piano la parola “Indifferenza”, come soggetto assoluto e primario di tutta una serie di tre correlazioni. Sembra quasi che rappresenti idealmente un “chiasmo” che consente al poeta di evitare la ripetizione della “triplice anafora” della prima parte e cioè: “era il rivo- era l’accartocciarsi- era il cavallo, limitando così la triplice correlazione ad un solo verbo “era” , ma di cui si sente viva la presenza attraverso il “polisindeto” ( e la nuvola e il falco), in cui proprio l’assenza del verbo “era” rende in qualche modo ancora più antitetico il significato pregnante del simbolo, mentre scandisce un senso di vago e di sfuggente, quasi di cosa che presto si vanifica.


“Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.


Bene non seppi, fuori che prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.”


ANALISI, PARAFRASI, NOTE E COMMENTI:


METRICA: Due quartine di endecasillabi con rima ABBA nella prima, e ABBA nella seconda, con qualche rima al mezzo “incontrato-strozzato” e l’ultimo verso ipermetro.

1) “Spesso il male di vivere…….”
Il “male di vivere” è la definizione montaliana della pena di cui è intessuta al vita umana; e questa si può incontrare ovunque: a) nel ruscello ostruito (strozzato) che, quasi soffocato, sembra assumere un senso di dolore umano; b) si può incontrare anche in una foglia morta ed accartocciata, come sotto la morsa del dolore; c) oppure nel cavallo stramazzato a terra vinto dalle fatiche e dall’età.
Le immagini di “strozzato” e “stramazzato” danno come un senso di violenza e di crudeltà.
Il “relativo oggettivo” o “correlativo oggettivo” appartiene, come già abbiamo visto, principalmente alla poetica dello scrittore inglese Thomas Stearns Eliot, ma prima ancora di accingersi a tradurre qualcosa da Eliot, Montale aveva già sperimentato per conto sua questa tecnica.
Cosa s’intende tecnicamente per “correlativo oggettivo”?:
“Le immagini degli oggetti osservati vengono poste in diretta relazione col sentimento dell’io poetante, con i diversi stati d’animo dell’io poetante, per cui una serie di immagini o una serie di oggetti viene ad essere eloquente di per sé, se il lettore fattosi critico riesce a scoprire la chiave e a capire in che rapporto sono messi l’uno contro l’altro sentimenti e oggetti; un rapporto che non sarà di tipo logico, ma precisamente di tipo espressivo.”

Tutto ciò penso sia molto comprensibile oggi, ai nostri tempi, ma non all’epoca di Montale, in cui la lettura di queste sue poesie poteva creare dei veri sussulti che spingevano il suo interlocutore a considerarlo un vero e proprio “poeta ermetico”.


2) “Bene non seppi…”
Montale dice: “Non ho conosciuto altro bene, appagamento dell’anima, oltre al miracolo offertomi dalla “divina Indifferenza”, intesa come stato d’animo quasi divino per l’approdo alla serenità. Così quindi l’indifferenza risulta l’unico bene della nostra vita. Bisogna, pertanto, essere come ad una statua di fronte al dolore oppure come una nuvolo o come un falco nell’aria e nel cielo per poter staccarsi concretamente dalla terra e dal suo male.




Autore Guerino Nisticó

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