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Titolo Rubrica : APPROFONDIMENTO SULLA POESIA “NON CHIEDERCI LA PAROLA”


Pubblicata in data : 9/5/2005



E’ questa la “poesia programmatica” della prima raccolta poetica montaliana, “Ossi di seppia”, che in qualche modo apre la poetica del Novecento. Il senso della lirica si può così riassumere: “Non chiedano i lettori al poeta una parola definitiva, una di quelle parole forti che dichiarano a lettere di fuoco l’animo di chi scrive, e risplendono per sempre come un fiore vivo su un prato di polvere. Egli non potrà dare agli uomini parole nuove, capaci di aprire un mondo, ma soltanto qualche storta sillaba e secca come un ramo. Soltanto questo può esprimere oggi chi scrive: quella che non è la nostra non-vita, il nostro non-essere”.

Questa “teologia negativa” di Montale andava ovviamente oltre i limiti della opposizione politica alla società del tempo, giacché nasceva da un’interiore intransigenza morale, poiché era una rinuncia alla funzione di poeta vate o di poeta moralista.

Nella negatività del messaggio del poeta ed in questa dichiarata impossibilità di messaggi, in verità si nascondeva la “fermezza disincantata” dell’unico vero valore della poesia, che pur rinunciando ad ogni illusione consolatoria, accetta con “divina indifferenza” il male del vivere, l’isolamento e la solitudine. La sua metafisica dell’assenza d’ideali e di messaggi non è una drammatica resa senza condizioni dinanzi il male di vivere, ma una sorta di reazione, che è “comprensione totale fuori d’ogni compromesso”, contro cui l’indifferenza è l’unica “divinità capace di staccarci dal male”.

Alcuni critici letterari pensano che con Montale : “Si approda alla poesia fatta idea, e musica scabra, dove le cose sono colte alla radice del nulla”. “ La parola, veramente essenziale, anche quando il poeta ricrea un ritmo o una rima, rimane storta sillaba, indagando la sostanza di un mondo contorto nella sofferenza di esprimersi e nel dolore di vivere”. Questa poesia sorprende prima di tutto per le sue novità ritmiche e per questo tipo di musicalità che poteva sembrare apparentemente sgradevole e in ogni modo molto diversa dal “musicalismo eufonico” di Pascoli e di D’Annunzio.

Una poesia caratterizzata da “accenti particolari”: “Non domandarci la formula ….. sì qualche storta sillaba e secca come un ramo”. “Storta” e “secca” sono due aggettivi, tipicamente montaliani, che si pongono nella mente di noi lettori come una coppia di aggettivi sorprendenti equivalenti a “scabro” ed “essenziale”. Sorprendente e particolare è ancora l’affermazione: “Codesto solo oggi possiamo dirti/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. In poche parole Montale, rivolgendosi al lettore, affermava che in quel momento in cui scriveva e faceva uscire le sue poesie, ciò che si poteva dire stava dalla parte del “no” era il contrario del positivo, era la negatività della vita, era il contrario dell’essere, il contrario della volontà. Veniva perciò fuori questa poesia “secca” e “storta”, musicalmente nuova come una complessiva affermazione di una negatività, di una “situazione di impossibilità a consentire con la vita, a dire sì alla vita, agli altri uomini”.


Tutto ciò, penso , avesse un senso politico; “l’uomo poetante” di Montale si negava a certa temperie politica, a una realtà storicamente circostanziata. Ma non si negava soltanto a questa ma si negava un poco alla vita in genere, assumendo sempre una posizione che negli anni seguenti si vedrà poi rappresentata e diffusa dalla c.d. “angoscia esistenzialistica”. Non si parlava ancora molto in quegli anni in Italia d’esistenzialismo, ma “ questo Montale che poetava sul rovescio della vita” era indubbiamente “un uomo anche eticamente nuovo” perché era in qualche modo un uomo angosciato, era “l’uomo del no”.

Il libro “Ossi di seppia” si presentava, pertanto, come una raccolta organica, nella quale le singole poesie non erano messe insieme con criteri di “esteriorità” ma venivano organizzate in un “complesso discorso che dilatando il tema del – ciò che non siamo, ciò che non vogliamo- giungeva addirittura alla raffigurazione di un personaggio, di un tipo umano, una specie di alter ego del poeta”. Importante risulta qui anche la figura la “figura dell’uomo perplesso e nuovo" di Montale che vive in una realtà storica ed in una vita che sente nemica. Quest’uomo è rappresentato da “Arsenio” , protagonista di un’altra poesia importante di Montale, ed è proprio a lui che viene offerta la “possibilità di salvarsi” poiché gli viene indicata “l’altra orbita da seguire” , ma per pigrizia e poi proprio perché è “l’uomo di ciò che non vogliamo”, lascia cadere il segno e viene riassorbito dalla vita di tutti i giorni, da quella vita meschina descritta nella poesia, quella vita che, come è detto nella poesia “Casa sul mare” è fatta delle “cure meschine che dividono / l’anima”.


Questa “novità etica” dell’uomo del no, dell’uomo che si deve salvare da una realtà ostile veniva accompagnata da una serie di novità di ordine tecnico. La famosa “apparente musica sgradevole” di Montale, sopra citata, rappresenta la “ricerca cosciente” da parte del poeta stesso di un altro tipo di musicalità, ricerca di una “musica atonale”, di una nuova “dimensione musicale precisamente ulteriore, soprattutto dal punto di vista storico, a quella di cui la poesia aveva precedentemente beneficiato in passato”.


“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.


Ah l’uomo che se va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!


Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.”


ANALISI, PARAFRASI E COMMENTI:


METRICA: Strofe quartine con versi in prevalenza endecasillabi.
Schema rime ABAB, anche se nella seconda quartina la rima è anomala.


1) “Non chiederci….” : la poesia si apre come un dialogo con il “lettore-uomo” e Montale formula subito una severa dichiarazione di sincerità.


Parafrasi I quartina : La parola del poeta non può quindi squadrare, illuminare in ogni suo aspetto ciò che è celato nel nostro animo informe, evanescente, rivelandolo a lettere di fuoco, e che risplenda, effondi di gioia come un fiore giallo ( “croco”) in mezzo ad un prato polveroso, arido.


Note: il “croco” è lo zafferano ed è di colore giallo e quindi “lampeggia” (richiama “I limoni”) e ciò è molto importante perché il lettore deve riuscire a percepire tutto solo attraverso l’effetto del croco stesso senza sapere cos’è veramente di preciso.

“Tu” = Lettore cui si rivolge la poesia identificato nell’atto della lettura stessa.

“Non chieder-ci / Non domandar-ci” = “NOI” = poeti moderni
n.b.: “tu” = 1 persona “- ci”= tanti / Sono tutti virtuali ed il rapporto tra i poeti ed il lettore non è neanche di tipo personale.
“Parola” = parola della conoscenza
“Non chiederci la parola” rappresenta il totale “forfait” dei poeti che hanno un animo informe e diverso. Infatti l’animo stesso, che dovrebbe essere squadrato dal poeta è già di per sé informe ed incerto.


2) “Ah l’uomo….”
Parafrasi II quartina: Ahimè, è da commiserare ( visto che il poeta non ha certezze) l’uomo che se ne va sicuro di se stesso, in accordo con sé e con gli altri e non sente l’inconsistenza, la precarietà (“l’ombra…che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro”) della condizione umana
- Così la miseria dell’uomo si ricava dalla connotazione desolata di quell’ombra stampata nel muro scalcinato.

Note : “Ah” rappresenta un soprassalto di coscienza dentro la poesia stessa e questa tecnica era molto tipica anche nel Leopardi.

“L’uomo che se ne va sicuro” è un uomo che si potrebbe anche invidiare ma è un uomo superficiale perché “non cura la sua ombra. E’ anche un uomo “amico di se stesso” e quindi un uomo che ha raggiunto una maturità completa.

“ombra”= dimensione binaria con un gioco sia del bianco e sia del nero che rappresenta una contrapposizione fondamentale nella stessa poesia. L’ombra è lo spazio del poeta , dove può esistere. L’ombra è tale perché è un limite finché non riusciamo a penetrarla. Montale si mette in gioco ed esprime chiaramente che il poeta che deve misurarsi con “l’intimità” e quel poeta c.d. dell’ombra che deve riuscire ad indagare con il suo animo informe.


E’ proprio in questo caso che il tema “dell’inappartenenza della poesia”, “dell’esercizio di ricerca e di sperimentazione che essa richiede”, trovi qui un’espressione compiuta attraverso uno “stacco di immagine” come appunto quello offerto dall’ombra che si stacca da un corpo per proiettarsi su una superficie. Qui, sulla parete di un muro che si erge a segno della divisione, della “separatezza" cui la parola poetica si affida, in Montale per mantenere intatta la sua inafferrabilità”. In questo caso si tratta di un “muro scalcinato” , come si conviene alla posizione terrestre della poesia, alla strumentazione povera di cui essa oggi dispone, fatta di “qualche storta sillaba e secca come un ramo”. La poesia si trova, pertanto, nella condizione di chi sa di riflettere la propria ombra su un limite invalicabile, su una trascendenza senza volto, destinata a rimanere inaccessibile.. ai poeti non si può dunque chiedere la parola che risplenda nella pienezza della rivelazione: perché la parola di cui oggi poeti dispongono “si articola dal punto di vista del limite che la circoscrive, dell’effetto di silenzio in essa si compie”. Così, il teatro della poesia rimane da “questo lato del muro”, in un prato polveroso: come sappiamo, questa fedeltà terrestre crea la condizione di distacco necessaria perché l’essenza della poesia si riveli nel suo modo particolare di manifestarsi sempre “più in là”, sempre “oltre la presa di una parola che, impadronendosene, la brucerebbe”. Il muro suggerisce dunque la presenza dell’altra facciata, e nello stesso tempo la difende.


3) “Non domandarci…”: qui continua la c.d. “filosofia del non”
Parafrasi III quartina: Tu, lettore-uomo, non chiedere al poeta il messaggio illuminante e consolatorio di speranza (“che mondi possa aprirti”), ma soltanto la parola disadorna, scabra, macerata ed arida dalla sofferenza (“secca come un ramo”)
Soltanto questo oggi il poeta può dirti nei suoi versi e cioè la condizione negativa dell’esistenza e della volontà.

Note: Montale dice al lettore di non chiedere ai poeti la “formula magica” che possa “aprire i mondi” perché il poeta non può dichiarare la verità e non può suggerire la “formula” per uscire da quella situazione
“Codesto…” : ciò è vicino all’ascoltatore e quindi al lettore e lontano a chi scrive e chi parla e quindi al poeta. Pertanto, “ciò che non siamo” e “ciò che non vogliamo” è molto più vicino al lettore che al poeta. E’ come se il poeta dicesse al lettore: “…fatti tuoi circa il mio non essere e quindi il mio non esistere”. Quest’ultimi versi sono molto attratti dal c.d. “modello socratico” ( “Io so di non sapere”) ma dobbiamo stare molto attenti nel prenderne le dovute distanze perché si potrebbe anche fraintendere il vero significato della frase montaliana. Ciò è infatti un trucco contenuto “nell’apparente evidenza”.

- “L’essere dell’uomo può essere colto nel suo non essere, la parola parla solo per negare i contenuti della vita e della storia”. Quindi se il poeta vuole veramente essere sincero e coerente con la verità e con la sua moralità, deve limitarsi a costatare e cantare soltanto la sua precarietà, la sua inconsistenza, la sua insicurezza, la sua solitudine.




Autore Guerino Nisticó

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