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Titolo Rubrica : EUGENIO MONTALE: GRANDE VERO INTERPRETE DELLA CRISI DEL NOSTRO TEMPO


Pubblicata in data : 9/5/2005



Mentre Ungaretti, nonostante si sia inizialmente dichiarato “uomo di pena”, sostanzialmente conclude la sua attività poetica come uomo di fede e poeta della speranza, Montale rimane sempre, dal principio alla fine della sua carriera letteraria, “poeta della corrosione critica dell’esistenza e interprete impietoso della tragica crisi del nostro tempo”.

La sua poesia può essere , infatti, considerata un tormentato diario dei nostri tempi in questa civiltà tecnologica, in cui anche le strutture sociali sono in continua trasformazione e l’urgenza delle aspirazioni delle masse fa passare in secondo piano la figura del poeta vate o del poeta maestro di saggezza e d’istanze sociali impegnate.

Così può darsi anche che la metafora del prigioniero di Montale stesso voglia prefigurare la condizione del poeta nell’attuale e nella prossima storia: “…Alla figura del poeta umanista,fisso ai modelli incorruttibili della bellezza antica; a quella del poeta romantico, eco e protagonista della passione dei tempi; a quella del poeta decadente, intento a riconoscere, dietro la trita quotidianità, l’estrema inesauribile potenza del sogno….può darsi che debba seguire quella del poeta ostaggio della storia, custode e testimone di una verità segreta, di una superstite autenticità, soggiacente alla sproporzionata evidenza, ai miti facili ed esorbitanti di una società che li rinnega”.


E’ proprio in questo modo ed in questo senso che la poesia di Montale rappresenta un autentico diario della crisi della società contemporanea fra le due guerre mondiali, avendo egli scritto ed operato dalla fine della prima guerra mondiale fino alla più drammatica crisi che è seguita alla seconda guerra mondiale.


E’ lo stesso Montale a riconoscere a se stesso un impegno di poeta di crisi, di interprete di una società che ha smarrito il vero senso della verità e dei valori tradizionali. Infatti, materia della sua ispirazione è stata sempre la disarmonia con la realtà che lo circondava, prima durante il Fascismo da cui si tenne sempre in aristocratico e dignitoso distacco e poi, durante la letteratura impegnata della Resistenza e della nuova democrazia italiana, “pervasa da un costante Neorealismo”.


Sin dagli anni di “Ossi di seppia” (1925) Montale si è sempre proclamato non poeta in armonia con il mondo e la società, bensì poeta che ha la coscienza di una forte crisi in atto, di una rottura con la stessa società che ha reso inoperante la poesia.


In una società che ha pertanto distrutto e rinnegato i miti estetici e morali:


“….codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.”



La negazione assoluta che coinvolge l’essere e la volontà costituisce l’unico passaggio che il poeta può rivelare al mondo dei lettori, poiché egli stesso precisa:



“Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.”



Montale ha colto benissimo il senso di naufragio in cui si trova la società moderna, quando ha affermato l’assoluta impossibilità di adeguare il mondo e la realtà ad un ordine precostituito:



“E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.”




In questo senso risulta un grande scrittore di opposizione e di crisi, soltanto che non trova alcuna soluzione al problema dell’uomo senza fede e senza ideali nella società moderna, poiché e convinto che la civiltà moderna ha travolto nel suo vortice tecnologico, tra gli altri ideali, anche quello della poesia. Di qui il suo personale proposito di non appartenere ai “poeti laureati” che si muovono tra le piante dai nomi poco usati e di preferire invece le “strade che riecono agli erbosi fossi, dove in pozzanghere mezzo seccate i ragazzi agguantano qualche sparuta anguilla”.


In altri termini Montale non sa rassegnarsi alla fine della funzione vera del poeta in una società tecnologica e materialistica e trova, proprio nella crisi del poeta e della poesia, il momento autentico della negatività della vita e della usa incredibile aridità.

Il “male di vivere” che il poeta incontra spesso “nel rivo strozzato che gorgoglia”, “nell’incartocciarsi della foglia riarsa”, “nel cavallo stramazzato”, è una “soluzione simbolica” che la realtà dell’esperienza offre al poeta, secondo la tecnica ermetica ed emblematica del 2correlativo oggettivo”, precisata da T. S. Eliot con queste parole: <>. Secondo questa tecnica, quando Montale vuol dare a noi la sua nozione della vita, ci dice che essa consiste “in questo seguitare una muraglia – che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”; quando vuol darci l’immagine della vita, dell’innocenza dell’infanzia, ci offre l’immagine del mare. Il mare, infatti, per Montale è costante nome di vita vera, rispetto alla quale è morto ciò che è diverso da lei; la terra è metafora costante della maturità. “Una realtà corrotta, quindi, e un bisogno d’incorruttibile apertura e liberazione: questo il dissidio mare e terra”che, con drammaticità dei due elementi contrari e ravvicinati, costituisce il sentimento fondamentale degli “Ossi di seppia”. Anche l’incanto della memoria in Montale è sottoposto ad un rigoroso controllo razionale, ad una spietata corrosione critica esistenziale.

La simbologia del paesaggio montaliano è quasi un nuovo linguaggio allegorico in cui si esprime di volta in volta il sentimento corrosivo del poeta e la sua dolorosa meditazione sulla vita. Si direbbe che il paesaggio determini di volta in volta un linguaggio poetico e metaforico particole ed originale. In tal senso i sentimenti del poeta sono evocati non con commozione lirica, ma con oggettività descrittiva, in quanto si trovano ad avere consistenza figurale e lirica nei momenti rappresentativi e descrittivi di quel paesaggio. Anzi il paesaggio montaliano ci appare come un autentico libro scritto dalla natura per rappresentare il male di vivere dell’uomo, la sua miseria ed il suo non essere. Il poeta non fa altro che trascrivere e scoprire a noi lettori questo ermetico libro del paesaggio in cui egli legge la sua vita, la nostra vita.


Nel complesso la poesia di Montale interpreta veramente il nostro tempo, sotto il segno di un “pessimismo austero ed attivo”, ma non si tratta di un pessimismo dettato dalla disperazione romantica o da torbido sentimentalismo, bensì da una raggiunta e sofferta consapevolezza che nulla potrebbe mai giustificare una prospettiva positiva per l’uomo ma che ci accompagna alla “convinzione altrettanto irremovibile della imprescindibilità del suo adoperarsi per essere migliore”.
Così il segno negativo “finisce per rovesciarsi nell’unico significato positivo possibile, quello che fa dell’impegno morale in sé il fine della stessa azione morale e dell’intera vita dell’uomo”.



Montale, come tanti altri poeti della nostra letteratura, si rifà alla “tecnica analogica” dei simbolisti, ma diversamente degli altri poeti ermetici preferisce, alla maniera di Eliot ( il più affine a lui dei poeti europei) un linguaggio allusivo ed allegorico, esprimendo ogni emozione attraverso una correlazione con una serie di oggetti e di elementi paesaggistici o di situazioni, che divengono la formula costante, il linguaggio simbolico di quella stessa emozione. Per esempio, il mare assume per lui, come abbiamo visto, il costante significato emblematico e simbolico di vita, di innocenza, di infanzia, di sogni della giovinezza; mentre la terra diventa metafora di spossata maturità, di ricordi infranti; il mare simbolo dell’inno di chi sogna e trionfa, la terra simbolo dell’elegia e del rimpianto.

Il dissidio mare-terra, pertanto, diventa il correlativo oggettivo del dissidio interiore del poeta , come immagine della conquista e della riconquista, dell’inno e dell’elegia, del sogno e del rimpianto che è in ognuno di noi, in un’eterna e monotona attesa senza speranza, senza soluzione. Tutto ciò appare chiaramente nel titolo della sua prima raccolta di poesie che risulta anche la più famosa tra le sue opere, “Ossi di seppia”.

Così …. “come il mare si purifica delle sue lordure sbattendo a terra i suoi ossi di seppia e le inutili macerie abissali” , anche il poeta … “sbatte alla riva della lettura nostra i suoi ossi, e da qui la sua coscienza di darci, come poeta, la negatività dell’uomo: ciò che non siamo”. Noi cantiamo ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, ciò che rifiutiamo, la disarmonia con la realtà che ci circonda e la identifichiamo nel paesaggio e nel “contrasto terra-mare”.nel simbolo del mare, che riassorbe in sé fra le sue onde le inutili macerie del suo abisso, i suoi ossi di seppia, c’è come la speranza del poeta di superare il suo “dissidio di creatura fragile e misera in creatura vitale”, perennemente viva, diventando da stirpe della terra, elemento del mare e del cosmo, in armonia con il tutto.

Ma se “Ossi di seppia” ci testimonia la volontà del poeta di riconquistare il proprio destino e la propria libertà, nel vagheggiamento di un inno che veda rifiorire la sua infanzia ligure a contatto con il mare e il sole della sua terra e nell’attesa di mutare in inno la sua elegia, il secondo suo volume di poesie “Occasioni”, in realtà non ci fa intravedere una raggiunta liberazione. Come negli “Ossi” il mare era considerato emblema dell’innocenza, dell’infanzia, così ora nelle “Occasioni” la donna è emblema del passato nobile e della stessa infanzia, simbolo quasi del “fantasma che salva”; ma…”seguita comunque il senso di attesa: prima attesa dell’inno del fantasma salvatore, quindi l’ansia di attenderlo vivo. Quando poi la donna si presenta essa stessa come fantasma salvatore, allora i due temi si uniscono”.


Quindi prima di approfondire i miei studi su le “Occasioni” vorrei analizzare meglio un punto toccato precedentemente ed inerente agli “Ossi di seppia”.
Abbiamo visto come Montale sappia benissimo che il mondo non rivelerà mai il suo mistero, a nessuno e meno che mai a lui che si sente un “povero diavolo”, che non è un grande intellettuale, né un profeta. Vede la vita come una “terra desolata”, popolata da oggetti ed esseri vari, uo9mini compresi, “che si agitano dolorosamente verso un precipizio dove li aspetta il nulla”. La vita è, pertanto, secondo Montale, una crudele e vana fatica per cercare di darle senso e di comunicare qualcosa agli altri. Tutto ciò abbiamo visto che è praticamente impossibile perché ognuno di noi si trova davanti una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. In questo caso, però, il poeta cerca disperatamente qualche possibile “varco” per rompere questo tragico destino, questa drammatica “negatività dell’essere”: cerca, infatti una “maglia rotta nella rete”, “uno sbaglio della natura”, “un anello che non tiene” ecc…


Tutto ciò ha spinto qualche critico a parlare di “pessimismo non statico ma dialettico ed attivo” teso sempre a cercare di rompere in qualche modo “quel muro” e “quello schermo” che nasconde il mistero. E perciò tra i tanti muri, orti, recinti, e reti che si incontrano nelle poesie di Montale, appaiono spesso come segni di possibilità e di libertà, il mare che è l’emblema stesso del mistero dell’essere e la donna che è portatrice di “occasioni”, di momenti di salvezza, di “luce nelle tenebre”. La figura femminile è molto importante in tutta la produzione montaliana e rappresenta quasi una “presenza angelica” grazie alla quale il poeta attinge a quella che è una sua fondamentale sorgente di poesia: il ricordo. Per Montale vivere è ricordare, per poter cercare di capire i momenti di una storia. Tutto ciò Montale lo fa anche per cercare di uscire da sé ma questo risulta invano ed inutile perché il “ricordare” produce una maggiore consapevolezza del “male di vivere”, “dell’insensatezza della storia” , “dell’incomunicabilità dolorosa che tormenta la nostra esistenza”. Così , come abbiamo già visto sopra ed approfondito bene anche a lezione, il poeta non può intuire nulla e non può assolutamente rivelare nulla con la sua parola.

Il poeta non è un “vate”, un “veggente o un profeta”, non è “un fanciullino”…..il poeta può solo “negare”.
Perciò il titolo della raccolta “Ossi di seppia” sintetizza profondamente la c.d. “teologia negativa” di Montale ed il suo linguaggio così nudo, concreto, “quasi prosastico”. Le parole usate sono secche e precise, senza alcun abbellimento, senza allusioni, senza lirismi. Sono ridotte all’essenziale proprio come gli ossi di seppia. Montale parte sempre da un dato reale, da una piccola cosa che può diventare simbolo della realtà e con le parole cerca di realizzare appunto il famoso “correlativo oggettivo”, come una catena d’oggetti che siano eventi emblematici: il “cavallo stramazzato”, “l’incartocciarsi della foglia riarsa”, “il falco alto elevato”, “il rivo strozzato” ecc…


Pertanto, il paesaggio reale e fisico diventa simbolico e metafisico e risulta l’unico vero punto di partenza e di forza di una poesia altissima che ha segnato tutto il nostro Novecento letterario.




Autore Guerino Nisticó

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